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La volontà di Dio vs idealismo moderno

  • sacrapoetica
  • May 24
  • 4 min read
  • UNA VITA DEDICATA ALLA SCOPERTA DELLA VOLONTÀ DI DIO IMPLICA UN SÉ DEDICATO ALL’ASCESA NELLA PIENA ATTUALITÀ DI UNA MENTE DIVINA


Cosa dovremmo fare quotidianamente? Forse incarnare aspirazioni, realizzare sogni?  Non è forse per ciò che si chiede ai bambini cosa vogliano diventare da grandi? Una domanda che suggerisce che dovremmo perseguire i nostri sogni, che sarebbe “ideale” avere successo nel raggiungere le nostre aspirazioni più sentite. Non è questo ciò per cui siamo nati, che il nostro obiettivo sia dettato da Dio o dalla natura, ossia da “una Forza Superiore”? Cos’altro dovremmo fare? Dovremmo forse servire una volontà contraria alla nostra? Siamo educati ad aborrire questa possibilità. Così scegliamo il nostro Dio: scegliamo il Dio che vuole ciò che vogliamo, il Dio che serve le nostre voglie, che risponde alle nostre preghiere. Le nostre preghiere? “Ti prego, Dio, esaudisci i miei sogni!” “Per piacere, fammi piacere!” L’unico Dio degno di essere sostenuto è il menestrello di Epicurei—o almeno tale è il sentimento che siamo educati a nutrire. Fino a quando non falliamo; fino a quando il nostro Dio fin troppo moderno fallisce; fino a quando il nostro mondo crolla; fino a quando il nostro castello di carte si sfalda lasciandoci cadere liberi, sovrastanti le fiamme senza tempo tinte di un non-senso infernale.

Lo spettro dell’assenza di senso è, dopotutto, ciò da cui gli ideali moderni dovrebbero salvarci. Come potremmo conoscere la volontà di Dio se non attraverso la ricerca d’ideali umani? La volontà di Dio è ciò che dobbiamo realizzare, non è vero? E non è forse vero che Dio abbia bisogno di noi? Non siamo forse nati per realizzare la sua volontà, e finanche Dio stesso?

Alcuni potrebbero obiettare che siamo chiamati a fare la volontà di Dio così come è manifestata, proclamata in un libro sacro. Come possiamo pertanto sapere che non stiamo semplicemente leggendo il nostro libro per servire una nostra agenda, per sostenere una nostra certezza? La risposta medievale è che la fede vera cerca comprensione: fides quaerit intellectum. La domanda, “cosa dovremmo fare nel nostro quotidiano?” trova ora risposta diritta in un invito a cercare di scoprire la risposta. Non una risposta relativa rispetto a molteplici altre vie, ma quella maestra che è guida buona o giusta per tutti. Donde la domanda di Dante riguardo “il cammin di nostra vita”—non essendo questo altri che la Commedia che il poeta ci invita a percorrere: un viaggio di purificazione spirituale attraverso il quale dobbiamo essere purgati dal nostro mondo, dalla sua oscurità, al fine d’esser riempiti dalla luce di un mondo divino; la luce dell’intendimento, di un risveglio o meglio di una veglia presupposta da tutti i nostri sogni.

Una vita dedicata alla scoperta della volontà di Dio implica un sé dedicato all’ascesa nella piena attualità di una mente divina. Non il perseguimento di ideali umani, ma il perseguimento dell’intendimento divino è il percorso che conduce alla realizzazione della nostra umanità. L’uomo sarà realizzato in Dio, non Dio nell’uomo. Ma in tal caso non si tratterà di rinunciare al genio della modernità? Non rischiamo forse di tornare al “medioevo”, se non del tutto ai “secoli bui” di petrarchesca memoria? Non dovremmo fallire, abdicare alla gloria dell’uomo, perdere ogni ragione, ogni libertà? Non se la nostra vera gloria e la nostra ragione sono riconducibili alla luce dell’intelligenza divina, come alla loro propria dimora. Donde la domanda: dove siamo veramente liberi? Forse inoltrandoci in un mondo in cui ognuno possa essere “come Dio”—come se fosse Dio? Alternativamente, l’uomo è realmente libero solo nel lasciare dietro a sé la caverna delle aspirazioni umane come “mar sì crudele” (Dante, Paradiso 1.3), ascendendo nella luce dell’attualità divina. Parteciperemmo allora alla libertà nella misura in cui testimonieremmo alla dignità del cammino che mena dalle nostre aspirazioni fin troppo umane—soprattutto laddove queste siano fin troppo moderne—al compimento della volontà di Dio.

Cosa ci insegnano i nostri medievali platonici circa la volontà di Dio? Che è un velle realizzato in un nosse: una volontà realizzata in una conoscenza che, essendo divina, raccoglie in sé tutto il potere, tutto il posse. Dio è onnipotente in questo senso: raccoglie il suo potere nella sua conoscenza. Non è un uomo moderno (faustiano o machiavellico) che finalizza la conoscenza al potere, cioè al potenziamento della sua volontà. Dio raccoglie piuttosto il suo potere nella conoscenza attraverso la volontà. La volontà come raccoglimento, cammino attraverso il quale il potere viene a coincidere con la conoscenza.

Dio può realizzare tutto ciò che vuole perché ciò che vuole è adempiuto nella sua mente, nel suo pensiero (mens in Latino, come il nous di Aristotele): Dio stesso come abisso inesauribile di comprensione. L’onnipotenza divina non sarà quindi una proiezione delle pie, o meglio empie illusioni dell’uomo moderno, della sua compulsione a tradire il pensiero, a sostituire la visione divina con sogni collettivi. Per Dio il potere viene ripristinato nella conoscenza così come i corpi sono resuscitati nelle menti che presuppongono. Corpi risuscitati come forme propriamente spirituali, in contrapposizione a forme cadute dallo spirito nel terreno, nell’humus. Da qui la classica avvertenza che, contrariamente a quanto suggeriscono etimologie volgari, l’uomo non è figlio della terra, ma albero radicato nel cielo (come ci ricorda il Timeo platonico)—figlio di Dio, essendo qui Gesù Cristo la rivelazione del vero/Secondo Adamo; il nome in cui il vero Adamo è rivelato; il nome in cui “la via, la verità, la vita” dell’uomo (Giovanni 14:6) coincidono. Ma poi, quando cerchiamo quel nome lo troviamo su una Croce. La via, la verità e la vita dell’uomo si annunciano sulla Croce. L’uomo è stato trovato realmente, rivelato pienamente su d’una Croce irriducibile a strumento di tortura, di morte, perché essenzialmente veicolo di redenzione, della raccolta della potenza fisica nell’atto divino di intelligenza: la Croce come veicolo del contenimento di ogni potenza in un pensiero singolo ed illimitato.

 
 
 

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